Fu proprio nella capitale che si aprì un ciclo importante.
4 ottobre 2010: Roma. Ultimo atto di Donadoni alla guida del Napoli. Dopo essersi sbarazzato del diesse della ricostruzione, Aurelio completa il litfting della sua creatura e manda a casa il buon Roberto che aveva probabilmente adottato una strategia troppo a lungo termine per una piazza che ormai aveva fame di vittorie. E allora ecco che dal cilindro magico degli uffici della Filmauro De Laurentiis piazza il più grosso colpo di mercato della sua , seppure breve, ma già grande storia pallonara: Walter Mazzarri.
Le sue prime parole: darò un’anima alla squadra. I suoi primi fatti: ha dato un’anima alla squadra. La sua filosofia: avere 18 titolari e valorizzarli al massimo. La sua concretezza: ha trasformato Grava, Pazienza, Aronica oltre che la restante rosa in 18 guerrieri interscambiabili, pronti a dare sempre il massimo per i compagni e per i loro beniamini. La sua saggezza: ragionare partita dopo partita senza porsi limiti e obiettivi. La sua forza: avere una squadra che regge gli intensi impegni, gira a mille in campionato e può vincere ovunque. Il suo modo di concepire il calcio: un lavoro a cui dedicarsi 24 ore al giorno. I risultati: Napoli seconda, con il calcio più divertente, Cavani exploit, miglior tridente, seconda miglior difesa, una serie di record inanellati, una serie di parallelismi con il Napoli di Diego che oggi sono sempre più frequenti (da sabato anche le vittorie esterne eguagliano il Napoli del primo scudetto).
Non è certo solo grazie a Mazzarri, ma chi dice che nel calcio di oggi l’allenatore conta poco, non ha fatto ancora i conti con la storia partenopea di questo periodo. Un collettivo di buonissimi atleti in grado di diventare unico corpo nel campo, sorreggersi, aiutarsi, valorizzarsi per un unico obiettivo: uscire da qualunque campo, che sia l’Olimpico oppure l’Anfield Road, che sia il Comunale di Torino oppure il Marassi, maglia sudata e vittoria cercata in tutti i modi. Sono davvero pochissime le gare in cui non abbiamo visto il Napoli battagliero che cerca dal primo all’ultimo secondi di prevalere sull’avversario. E in quelle poche occasioni (tipo le due gare col Chievo) ce ne siamo accorti subito che non si era in vena. Può capitare. E soprattutto anche quelle battute d’arresto sono propedeutiche per ricaricarsi emotivamente e rifarsi agli occhi di uno dei pubblici più belli, appassionati, sanguigni, creativi, che lo stivale possa vantare: quello napoletano. Appassionato della sua squadra, non perché come qualcuno aveva fatto pensare è meno impegnato socialmente, ma perché il napoletano ama la sua città , come un figlio ama la sua mamma. La segue e la sostiene ovunque. La ama a prescindere. Per concludere in rima come farebbe la grande creatività dei tifosi, uno slogan per capire il tifoso azzurro: “Da Gela a Milano, da Pesaro a Roma: col napoletano, non resti mai sola”
Editoriale di Bruno Gaipa, conduttore di "Idee Partenopee"
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